lunedì 22 ottobre 2012
PARLO DI ME
INTRODUZIONE:Voglio scrivere di me.Dal momento che sono nata,ho sempre creduto di fare parte di un grande tappeto che è la Creazione del mondo.La mia vita è sicuramente non più importante di tante altre vite,però sono sicura della sua originalità.Questa originalità è il motivo che mi invoglia usare le parole per raccontarmi.Preciso l'originalità è in ogni essere vivente infatti sono sicura se testimnoniassimo tutti la originalità del vivere avremmo molte più librerie.Qualcuno ha dato( fortunatamente )ad ognuno uomo la capcità di eprimere la propria orginalità in modo diverso appunto in maniera originale.
mercoledì 20 giugno 2012
martedì 19 giugno 2012
Europei 4
Buongiorno Cassano
FantAntonio sblocca la partita
contro l'Irlanda: «Il mio europeo inizia adesso»
GIULIA ZONCA
inviata a poznan
Da come esulta sembra sempre che Cassano esca da una qualche marachella più che da un gol. Con quei saltelli impazziti, le mani che mulinano e i piedi che continuano a cambiare direzione perché non sa bene chi cercare, chi andare ad abbracciare. Poi si ricorda che ultimamente festeggia alla Totti e si ficca il dito in bocca, più che altro lo morde, ancora confuso sul da farsi. E visto come gli è riuscito forse questo gol è davvero uno scherzo. All’Irlanda e al destino.
Intanto lo segna di testa, fregando il tempo ad Andrews, un pennellone alto quasi 10 cm più di FantAntonio che in teoria sarebbe uno dei pilastri del Trap e poi firma la rete che sblocca la partita otto anni dopo l’inutile gol contro la Bulgaria. Quello vanificato dal biscotto nordico. Sempre l’ultima partita del gruppo C, solo che era l’Euro 2004, a Guimarães e Cassano aveva strappato la vittoria nei minuti di recupero. Poi si era messo a piangere. Zambrotta lo avevano raccolto da terra per costringerlo a uscire. In questa settimana di ansia da fregatura Cassano deve essersi ricordato spesso di quella serata da buttare.
Allora aveva sulle spalle il numero 18, giocava per la Roma, era nel pieno della fase cassanate, dicevano che sarebbe maturato. Non è successo, ma questo attaccante, il migliore nella storia azzurra degli Europei con i suoi tre gol, non è più la stessa persona. Le cassanate persistono, in Polonia ne ha sparata una di cui ancora si sente l’eco. Frase infelice contro i gay (e almeno li avesse chiamati così), poi scuse, rettifica e scarico di responsabilità però in campo una certa maturità si è vista e dopo la gara sereno e lucido ha osato: «Il mio europeo inizia adesso».
Oggi ha il 10 addosso, nessun ct distribuisce quel numero a caso e Prandelli gli ha dato un segnale: una maglia importante per compiti precisi. Lui ha si è fatto trovare pronto, tatticamente disciplinato, disponibile al sacrificio e meno concentrato su se stesso. Non poco per uno abituato a sbattere le porte, litigare con i presidenti e contestare gli allenatori. Non succede più, le cassanate girano al largo dal campo. Cassano sempre titolare, lodato per il lavoro, per le invenzioni. Preferito a Balotelli e tenuto in partita più a lungo anche se a un certo punto le forze lo mollano e deve uscire ogni volta.
E ieri il tempo è scaduto prima del solito. È un miracolato e in definitiva è questo che fa di lui un’altra persona. Il quattro novembre è stato operato al cuore e l’Europeo era l’ultimo dei suoi pensieri. Ha avuto paura di morire, poi ha temuto di dover smettere. Si è spaventato e ha fatto il bilancio con una carriera che troppe volte ha mandato in tilt. Magari non ha messo la testa a posto però si è fatto un’idea più precisa del giocatore che è, ha una posizione e prova a rispettarla. Ieri ha segnato un gol di cui ridere, uno di quelli che sistema più di un risultato perché chiude anche qualche conto il passato. Il biscotto è archiviato.
Intanto lo segna di testa, fregando il tempo ad Andrews, un pennellone alto quasi 10 cm più di FantAntonio che in teoria sarebbe uno dei pilastri del Trap e poi firma la rete che sblocca la partita otto anni dopo l’inutile gol contro la Bulgaria. Quello vanificato dal biscotto nordico. Sempre l’ultima partita del gruppo C, solo che era l’Euro 2004, a Guimarães e Cassano aveva strappato la vittoria nei minuti di recupero. Poi si era messo a piangere. Zambrotta lo avevano raccolto da terra per costringerlo a uscire. In questa settimana di ansia da fregatura Cassano deve essersi ricordato spesso di quella serata da buttare.
Allora aveva sulle spalle il numero 18, giocava per la Roma, era nel pieno della fase cassanate, dicevano che sarebbe maturato. Non è successo, ma questo attaccante, il migliore nella storia azzurra degli Europei con i suoi tre gol, non è più la stessa persona. Le cassanate persistono, in Polonia ne ha sparata una di cui ancora si sente l’eco. Frase infelice contro i gay (e almeno li avesse chiamati così), poi scuse, rettifica e scarico di responsabilità però in campo una certa maturità si è vista e dopo la gara sereno e lucido ha osato: «Il mio europeo inizia adesso».
Oggi ha il 10 addosso, nessun ct distribuisce quel numero a caso e Prandelli gli ha dato un segnale: una maglia importante per compiti precisi. Lui ha si è fatto trovare pronto, tatticamente disciplinato, disponibile al sacrificio e meno concentrato su se stesso. Non poco per uno abituato a sbattere le porte, litigare con i presidenti e contestare gli allenatori. Non succede più, le cassanate girano al largo dal campo. Cassano sempre titolare, lodato per il lavoro, per le invenzioni. Preferito a Balotelli e tenuto in partita più a lungo anche se a un certo punto le forze lo mollano e deve uscire ogni volta.
E ieri il tempo è scaduto prima del solito. È un miracolato e in definitiva è questo che fa di lui un’altra persona. Il quattro novembre è stato operato al cuore e l’Europeo era l’ultimo dei suoi pensieri. Ha avuto paura di morire, poi ha temuto di dover smettere. Si è spaventato e ha fatto il bilancio con una carriera che troppe volte ha mandato in tilt. Magari non ha messo la testa a posto però si è fatto un’idea più precisa del giocatore che è, ha una posizione e prova a rispettarla. Ieri ha segnato un gol di cui ridere, uno di quelli che sistema più di un risultato perché chiude anche qualche conto il passato. Il biscotto è archiviato.
sabato 16 giugno 2012
Non dimenticare mai
Grazie a Dio siamo limitati
Jonah Lynch
Poche cose ci danno fastidio quanto il fatto di essere limitati. La parola limite innanzitutto indica la finitezza, un confine. Spesso usiamo la parola in senso negativo. Parliamo dei "nostri limiti", intendendo con ciò che non siamo perfetti. Ma questo è un uso improprio: un conto è il fatto che ho soltanto 24 ore al giorno; un altro che molte di quelle ore le uso male. Il primo, fondamentale senso della parola limite è che io ho un confine, non ho infinite risorse. Come dice il salmo 89: «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo» (Sal 89,10). Ecco i termini della questione: abbiamo un desiderio infinito, e pochissimi anni in cui vivere.
Tuttavia, a mio parere, il fatto di essere limitati è un dato positivo e ci insegna cose essenziali per quanto riguarda il nostro rapporto con Dio, con gli altri uomini, e con il lavoro. Pensiamo, ad esempio, alla stretta di mano. Da essa può passare una grande ricchezza di rapporto. Proprio il fatto che le mani sono limitate, che la mia mano non è la mano dell'altro, esse sono il luogo di un incontro. Il limite è necessario alla comunione: se non ci fosse un confine, non ci sarebbe neanche quella sorpresa e quella gratitudine che sperimentiamo per la vicinanza di un altro. Nel tempo si impara che un rapporto stabile vive solo nel rispetto dei propri e altrui limiti, come accade nella fedeltà del matrimonio.
Più in generale, attraverso la mia mortalità imparo che non sono il creatore, imparo che dipendo. Dipendo persino dal cibo e dall’acqua, dipendo dal sonno. Il mio corpo mi insegna che non sono autosufficiente. Ma da questo imparo a chiedere da dove vengo e dove vado. Imparo che il mondo è buono, che è bello, e che non deriva da me. Mi precede, è più grande di me.
Dipendo anche dagli altri uomini, ad esempio nel lavoro. Ma l’interdipendenza è anche ciò che ci permette di costruire una grande opera. Collaborare con altri vuol dire fatica, compromessi, inefficienza. Ma se potessi fare tutto da solo, sarei più povero: quella scintilla creativa che nasce nel dialogo, vuol dire sostegno reciproco in tempi difficili, vuol dire amicizia, vuol dire possibilità di imparare e di crescere.
Insomma, qualunque lavoro è troppo piccolo per il nostro cuore. Siamo fatti per l'infinito e ci troviamo sempre a fare cose finite. Allora ci sono due radicali possibilità: o la realtà è negativa, un terribile inganno seguito dalla morte, in cui il meglio che si possa fare è tiranneggiare il più possibile; oppure si può trovare l'infinito all'interno delle cose pur limitate. Possiamo amare la materia stessa che ci è davanti, accettando di essere limitati dai confini dell'opera che stiamo compiendo.
Per me, l'incarnazione è il più potente insegnamento in questo senso. L'infinito stesso, Dio, si è incarnato dentro un uomo particolarissimo, soggetto come tutti noi alla stanchezza, alla tristezza, alla fame, alla sete. Egli ha vissuto con pochi discepoli, si è comunicato in modo diretto a loro, e ha affidato tutta la storia della sua Chiesa a questa trasmissione diretta di persona in persona. Non ha voluto saltare i limiti: al contrario, ha voluto che proprio dentro i limiti della carne, del tempo e dello spazio, persino dentro i limiti della morte, l'infinito fosse presente.
© Riproduzione riservata.
giovedì 14 giugno 2012
Europei di calcio fuori dal campo 2
Calcio e gay, cassanate a parte
La dichiarazione di Alessandro Cecchi Paone, sulla presenza tra gli Azzurri di due calciatori omosessuali, offerta a Cassano come un pallone da palleggiare. Negli anni Trenta, però...
Alessandro Cecchi Paone ha dato i numeri senza fare tutti i nomi: in Nazionale ci sarebbero due calciatori omosessuali, uno dei quali un tempo amico suo, due calciatori bisessuali, tre calciatori eterosessuali anzi metrosexual, cioè eterosessuali però dediti ad una cura del corpo e degli abiti tipicamente femminile. Questi ultimi tre sarebbero Abate, Giovinco e Montolivo.
La dichiarazione composita del celebre personaggio televisivo, protagonista di un outing di adesione personale all’omosessualità poco dopo avere festeggiato le nozze con una bellissima spagnola, è stata offerta, come un pallone da palleggiare, ad Antonio Cassano, mandato in conferenza-stampa dal citì Prandelli a parlare di un po’di tutto, di Balotelli suo sciagurato compagno d’attacco contro la Spagna (meglio Cassano investito del ruolo di portavoce azzurro di giornata di Cassano che si mette magari a parlare a ruota libera, deve avere pensato lo stesso Prandelli), come delle frasi di Cecchi Paone, in fondo non inattese visto che da tempo circola nel calcio la domanda ormai rituale alla quale manca una risposta univoca: ci sono gay nella calcio? E nella Nazionale?
Il giocatore, appunto replicando a Cecchi Paone dietro sollecitazione di un giornalista, ha detto di non saper niente di gay in squadra, ha precisato che comunque non sono affari suoi, ma ha usato, nel dirlo, anche almeno un termine pesante, da omofobo. E ha dovuto scusarsi, disomofobizzarsi. Grande la eco, molti i rumori di fondo. Nel migliore dei casi, un diversivo, visto che ci si sta appropinquando al match con la Croazia in piena angoscia, come da copione. Comunque l’argomento non sembra chiuso, anche se non si capisce bene perché sia stato aperto. Per inciso segnaliamo che nel Mondiale del 2010 in Sudafrica c’era nella squadra azzurra un calciatore con seri problemi di cocaina, ma non se ne parlò, chissà se per paura, per rispetto o per mancanza di un Cassano dedito alle sue cassanate.
Nel non lontanissimo anno 1982, in occasione del Mondiale in Spagna, bastarono due intriganti righe su un giornale italiano, con riferimento al semplice fatto che Paolo Rossi ed Antonio Cabrini avevano voluto dormire nella stessa camera, per scatenare le malissime lingue e obbligare il citì Bearzot ad instaurare il silenzio-stampa, promuovendo anzi obbligando il quasi muto Zoff a portavoce. La squadra, tranquilla, arrivò al successo finale. Chissà adesso.
La domanda con cassanata praticamente incorporata nella risposta era comunque nell’aria. Pochi mesi fa c’erano state voci di presenze gay fra i calciatori italiani, Marcello Lippi ex citì le aveva escluse, almeno fra gli azzurri cioè nel mondo più suo, mentre Damiano Tommasi, presidente dei calciatori, non aveva escluso il fenomeno però aveva invitato tutti a non andare a fondo col gossip e altro, ritenendo l’ambiente del calcio nostro non ancora maturo per affrontare il tema con forza e chiarezza. Il festival del film omosessuale di Torino aveva fatto da cassa di risonanza alla questione, con produzioni sull’outing anche nello sport
E c’era stato chi, raschiando nel barile della memoria più che sfogliando archivi poveri, aveva ripescato voci peraltro assai vaghe di omosessualità di giocatori nel giro della Roma del primo dopoguerra, nonché voci decisamente meno vaghe riferentisi a un gruppo di calciatori laziali, vicini allo scandalo del Totonero (dunque a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta) e vacanzieri particolari di gruppo in un resort dentro un’oasi algerina. Niente di più, e la questione dell’omosessualità nel calcio (mai sfiorati altri sport) era rimasta in sonno per anni e anni, al massimo con pettegolezzi sparsi e deboli su Tizio e Caio. C’era stata – ecco - una vignetta impagabile, l’ammucchiata dei calciatori a festeggiare un gol e uno che, sommerso dagli abbracci dei compagni, dice ad un altro impegnato a omaggiarlo come tutti: “Ma noi due dobbiamo continuare a frequentarci così?”.
Andando molto ma molto indietro, agli anni Trenta, si trova però qualcosa di, come dire?, fondato, anche se non fra calciatori in attività: un celebre allenatore fu cacciato dal suo celeberrimo club, dopo una serie di campionati vinti anzi dominati, per sospetti forti di omosessualità da spogliatoio (si mormorò anche di pedofilia); un celebre ex calciatore, divenuto celebre allenatore dopo essere stato fra i giocatori preferiti in casa Mussolini, nonostante il fascismo machista fascista da lui esibito, fu sempre sospettato di mancanza di coraggio per fare o accettare quell’outing che invece al suo predecessore era stato praticamente e rudemente imposto.
Da registrare infine anche la scoperta di una omosessualità, come dire?, trasversale italo-brasiliana: quella di un calciatore sudamericano, in arte calcistica Vampeta, assunto dall’Inter (roba di pochi anni fa), tenuto pochi mesi e quasi mai fatto giocare perché troppo frivolo ed etereo sul campo, lui che era in realtà un’icona “ufficiale” del mondo gay del suo Brasile, dove animava riviste, poster, scene di vita assolutamente extracalcistica.
Gian Paolo Ormezzano
Europei di calcio fuori dal campo 1
Cassano, elogio della ragione
Luca Doninelli
giovedì 14 giugno 2012
Parlare in difesa della ragione, soprattutto in questi giorni, è la sola cosa sensata. E poiché questa cosa va fatta, è bene sapere, fin da principio che un simile atto richiede un certo coraggio, in un frangente in cui sembra sia diventato impossibile esprimere qualunque opinione divergente anche di un millimetro dalla tirannia dei luoghi comuni. È evidente che vogliono distogliere il nostro sguardo da qualcosa di molto grave, spronandoci a parlare di fatti senza importanza. A un certo punto, però, sembra che perfino discutere di quei fatterelli sia diventato impossibile.
Ne dico due. Insisto: sono sciocchezze. La prima è lo scandalo-Cassano. Pur giocando nel Milan, Cassano è un uomo più intelligente della media. Ha guadagnato abbastanza soldi da non doversi vergognare troppo della propria ignoranza, però quello che dice ha sempre un senso. In questi giorni la sua opinione sulla possibile presenza di calciatori gay nella nazionale italiana ha fatto il giro del mondo, suscitando uno scandalo annunciato.
Nel concerto per soli ottoni che ne è seguito mi hanno colpito le dichiarazioni di un presentatore tv gay, il quale, forse confortato dalla certezza che le sue parole sarebbero state collocate dalla parte giusta, e che la sua immagine di persona mentalmente aperta ne avrebbe tratto giovamento, ha pensato di rivelare la propria relazione con un calciatore, dimostrandosi molto bene informato circa la componente gay, bi e metrosexual nella nostra Nazionale di calcio.
Non m’interessa, qui, dare ragione all’uno e torto all’altro. Però, nel teatrino, Cassano fa la parte del cattivo e il tetro presentatore quella del buono. E questa è un’ipocrisia grande come una casa.
Io però dico che non conviene, nemmeno ai mezzi d’informazione più schierati, farla così facile, visto che facile non è. Basterebbe chiedere (a microfono chiuso) ai nuovi benpensanti se preferirebbero che il loro figlio maschio adolescente uscisse la sera con Cassano o con il presentatore, e sono sicuro che le percentuali della ragione e del torto cambierebbero di parecchio.
Non etichettiamoli come pregiudizi - parola di cui ho il sospetto ci sfugga completamente il significato. La questione è molto più profonda, e credere di risolverla cercando dispositivi di normalizzazione sociale è una pura utopia, perché questi non sono pregiudizi, in quanto richiedono una decisione di fondo circa la natura dell’uomo. E su questo, mi sia concesso, dobbiamo pretendere perlomeno il diritto alla discussione, perché nulla, nel dramma della vita, è indiscutibile. L’uomo ha la necessità di essere radicalmente persuaso, e per produrre persuasione, mi spiace tanto, ci vuole una sola cosa: la verità. Sissignori, proprio lei, l’esiliata da tutti i vocabolari civili.
La violenza superficiale dei media non serve. Anzi, sotto sotto cova la rivolta, così che possiamo svegliarci una bella mattina e scoprire, dopo trent’anni di buone maniere, che i cinquantenni sono molto meno omofobi dei ventenni. Ma della verità, e quindi della ragione, che è la sua umile contadina, non importa più nulla a coloro che vorrebbero indirizzare i pensieri della gente. Anche se lei continua a esserci, eccome.
E c’è, per esempio - secondo piccolo episodio - nella vicenda delle dimissioni del sindaco milanese Pisapia da commissario Expo. Tra i diversi modi a sua disposizione (per esempio, rimboccarsi le maniche e lavorare sodo, rompendo le scatole ovunque) per richiamare tutti i partner Expo all’azione, visto l’approssimarsi della scadenza, lui ha scelto di dare le dimissioni, di trarsi d’impaccio conservando il proprio pedigree immacolato e lasciando ad altri il proverbiale cerino acceso. Il suo è stato un atto di viltà, uno scaricamento bello e buono di responsabilità. Questo è il nome proprio della sua azione. Ha sentito puzza di bruciato e si è tolto di mezzo, tutto qui.
Probabilmente io avrei fatto peggio di lui, perciò non intendo condannarlo per questo. Però non facciamolo passare per un atto di coraggio e di responsabilità, visto che è l’esatto contrario, perché di questo passo le parole significheranno il proprio opposto, come sta già cominciando ad accadere, e non è un male da poco.
A furia di usare la comunicazione in modo così scriteriato, senza nessun rispetto della natura delle cose, finiremo - noi e la nostra multimedialità, noi e la nostra smart city, noi e i nostri splendidi modelli di sviluppo che in due anni sono diventati concime per i campi - per produrre uomini con la vita strozzata in fondo alla gola, autistici, afasici, incapaci di dire perfino “bello”, “brutto”, “mi piace” o “ti voglio bene”.
Pensiamo anche al futuro, ogni tanto. Ma quello vero.
© Riproduzione riservata.
mercoledì 13 giugno 2012
sabato 9 giugno 2012
Fà riflettere............................................
Tra fanatismo e cinismo
sabato 9 giugno 2012
Di fronte alla sofferenza si oscilla spesso tra due atteggiamenti fondamentali, in qualche modo opposti, ma in fondo coincidenti: il fanatismo e il cinismo. Il primo si esprime nell’ostinato tentativo di modellare la realtà secondo una propria idea, il secondo invece nella rassegnata rinuncia ad impegnarsi veramente nella realtà. Ambedue gli atteggiamenti concordano nella convinzione che la realtà così come è non abbia senso e non sia buona.
C’è un terzo atteggiamento che costituisce la vera alternativa al fanatismo e al cinismo: la serenità e la letizia. È l’atteggiamento di chi sa che la realtà ultimamente è buona. La saggezza popolare lo insegna con il seguente detto: «Signore, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza per riconoscerne la differenza». Spaemann chiama questo terzo atteggiamento «abbandono fiducioso» e ritiene che si tratti di una delle conquiste fondamentali della vita morale di una persona.
Come possono convivere letizia e sofferenza, letizia e morte? Solo nella misura in cui intuiamo che ultimamente anche la sofferenza e la morte hanno un senso, sono parte del volto buono del Mistero che fa tutte le cose. Dove sta allora il valore principale della malattia? Nell’essere profezia della morte. La morte sollecita l’uomo a rendersi conto di chi è lui e di chi è Dio, se accettiamo che sia Lui a decidere della nostra vita.
Ho lavorato alcuni anni fa per il vescovo di Lugano Eugenio Corecco, colpito da una rara forma tumorale che lo portò alla morte. «La malattia – raccontava – se vissuta bene, è il momento pedagogico all’interno della vita umana che meglio di tutti gli altri ci può aiutare a capire chi siamo noi, chi è Lui e quanto più grande sia Lui». Dio, nella sofferenza, ci chiede di dare una risposta alla domanda se siamo disposti a fare la sua volontà. Tale domanda fa scoprire tutta la nostra solitudine. Nessuno infatti può sostituirsi alla nostra libertà. Ma come abbiamo detto all’inizio, tra il fanatismo di chi vuole l’impossibile e il cinismo di chi non si muove, c’è una terza possibilità. Quella dell’uomo sereno che si impegna davvero, abbandonandosi alla potenza di Dio.
© Riproduzione Riservata.
giovedì 7 giugno 2012
mercoledì 6 giugno 2012
un'altra passione:mangiare3
Tagliatelle con panna, fave e limone
- Ingredienti
1 limone
200 g di fave
250 g di tagliatelle paglia e fieno
30 g di burro
50 g di prosciutto cotto
100 ml di panna fresca
Tritate la scorza di 1 limone, non trattato. Lessate 200 g di fave, scolatele e togliete la pellicina. Cuocete 250 g di tagliatelle paglia e fieno e dopo 1 minuto e scolatele. Sciogliete 30 g di burro in una padella, unite 50 g di prosciutto cotto tritato, 100 ml di panna fresca, 1 cucchiaio di scorza di limone e le tagliatelle con le fave. Regolate di sale, pepate, spadellate e servite.
martedì 5 giugno 2012
un'altra passione mangiare 2
Tortiglioni carciofi e fave
- Ingredienti
400 g di tortiglioni
4 carciofi di media grandezza
500 g di fave fresche
1 spicchio di aglio
3 cucchiai di olio extravergine di oliva
1/2 bicchiere di vino bianco
1 mestolo di brodo vegetale
1 ciuffo di prezzemolo tritato
1 cucchiaio di maggiorana
1 limone
sale
pepe
Spremete il limone, versate il succo in una ciotola riempita di acqua e mescolate; staccate i gambi dei carciofi, raschiateli e tagliateli a bastoncini; eliminate le punte e metà delle foglie, tagliateli a metà e svuotateli del fieno, la parte filamentosa alla base. Tagliateli a spicchi molto sottili e immergeteli nell'acqua acidulata con il limone per evitare che anneriscano.
Fate imbiondire l'aglio con l'olio a fuoco lento, unite i carciofi asciugati, il prezzemolo e fate rosolare a fiamma vivace per 3 minuti. Bagnate con il vino e fate sfumare.
Aprite nel frattempo i baccelli delle fave, sgranatele ed eliminate tutte le escrescenze.
Unite le fave ai carciofi, aggiungete quindi il brodo e la maggiorana. Fate cuocere per 15 minuti, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno, quindi salate e pepate. Al termine togliete lo spicchio di aglio. Lessate al dente i tortiglioni in abbondante acqua salata, conditeli con il sugo e servite.
lunedì 4 giugno 2012
Passione calcio sportivo
Coraggio Italia, i Maya possono aspettare
di Luca Gelmini
Chiamiamola con il suo nome, iella. Sotto schiaffo dal primo giorno del raduno, tra bufere e imprevisti, dallo svolazzare di avvisi di garanzia a Coverciano agli sberloni in amichevole (vedi Russia), gli “sfigatelli” della Nazionale di Prandelli vivono giorni da perseguitati. Azzurro tenebra.
Peseranno più le tensioni giudiziarie o le gigantesche amnesie in difesa, si chiede il tifoso da bar e/o Twitter a poche ore dal volo per Cracovia? Mah, comunque bisogna trovare in fondo all’abisso la forza di sperare. Ne bastano sei, in fondo, di motivi cui aggrapparsi per non celebrare in anticipo il funerale della Nazionale. Altrimenti sai che noia in Polonia.
1) Affidarsi al blocco Juve è una scelta vincente del ct Cesare. La formazione dettata dalla magistratura – fuori Buffon, Bonucci e chissà quanti altri – dava meno garanzie.
2) Nonostante quello che si va sentendo in giro, la comunità calcistica ci guarda con indulgenza e simpatia: il boss Platini è un vecchio piemontese d’adozione. L’Uefa dell’amico Michel, piccolo esempio, distribuisce in Rete ciambelle di salvataggio. Sapete come il sito dell’Uefa presenta Mario “why always me” Balotelli? Un calciatore famoso per il suo comportamento “anticonvenzionale”. Un giorno incendia casa, l’altro tira freccette dalla finestra, il terzo segna un gol pazzesco di spalla e all’Uefa lo definiscono “anticonvenzionale”. Alla faccia degli eufemismi. Neanche Mino Raiola avrebbe saputo fare di meglio. Merci, le Roi
3) Il debutto del 10 giugno contro la Spagna campione di tutto è da togliere il fiato, ma il derby italo-iberico sullo spread che si gioca quotidianamente sui mercati non è da meno. A sentire il premier Monti siamo in vantaggio sul fronte del debito e la ministra Cancellieri (tifosa doc) non scambierebbe mai e poi mai capitan futuro De Rossi con Iniesta. Segnali.
4) Il nostro più grande amuleto è Giovanni Trapattoni. Giuan da Cusano Milanino ci porta bene, averlo nel girone è una manna dal cielo.
6) La profezia Maya incombe ma per le sventure ci stiamo attrezzando. Recita Wikipedia a proposito dei famigerati Maya: “Si dovrebbe verificare un evento, di natura imprecisata e di proporzioni planetarie, capace di produrre una significativa discontinuità storica con il passato“. Tradotto: vincere, finalmente, un Europeo dopo quasi mezzo secolo di vacche magre. Il 21 dicembre 2012 sapremo se sarà arrivata prima la fine del Mondo o quella del calcio italico. Più o meno la stessa cosa.
P.S Lo stesso giochino era stato proposto in prossimità della partenza del mondiale sudafricano, conclusosi poi tragicamente. Chiediamo scusa in anticipo.
Peseranno più le tensioni giudiziarie o le gigantesche amnesie in difesa, si chiede il tifoso da bar e/o Twitter a poche ore dal volo per Cracovia? Mah, comunque bisogna trovare in fondo all’abisso la forza di sperare. Ne bastano sei, in fondo, di motivi cui aggrapparsi per non celebrare in anticipo il funerale della Nazionale. Altrimenti sai che noia in Polonia.
1) Affidarsi al blocco Juve è una scelta vincente del ct Cesare. La formazione dettata dalla magistratura – fuori Buffon, Bonucci e chissà quanti altri – dava meno garanzie.
2) Nonostante quello che si va sentendo in giro, la comunità calcistica ci guarda con indulgenza e simpatia: il boss Platini è un vecchio piemontese d’adozione. L’Uefa dell’amico Michel, piccolo esempio, distribuisce in Rete ciambelle di salvataggio. Sapete come il sito dell’Uefa presenta Mario “why always me” Balotelli? Un calciatore famoso per il suo comportamento “anticonvenzionale”. Un giorno incendia casa, l’altro tira freccette dalla finestra, il terzo segna un gol pazzesco di spalla e all’Uefa lo definiscono “anticonvenzionale”. Alla faccia degli eufemismi. Neanche Mino Raiola avrebbe saputo fare di meglio. Merci, le Roi
3) Il debutto del 10 giugno contro la Spagna campione di tutto è da togliere il fiato, ma il derby italo-iberico sullo spread che si gioca quotidianamente sui mercati non è da meno. A sentire il premier Monti siamo in vantaggio sul fronte del debito e la ministra Cancellieri (tifosa doc) non scambierebbe mai e poi mai capitan futuro De Rossi con Iniesta. Segnali.
4) Il nostro più grande amuleto è Giovanni Trapattoni. Giuan da Cusano Milanino ci porta bene, averlo nel girone è una manna dal cielo.
Ha portato la sua Irlanda in ritiro a Montecatini osannando le “acque portentose” delle terme, lui che di acque sante se ne intende fin dall’era B-Moreno. Abbeveriamoci alla fonte del Trap e la salvezza arriverà.5) Parliamo di scommesse? La vittoria finale degli azzurri all’Europeo è quotata a 13. Numero fortunato che nella smorfia napoletana corrisponde a Sant’Antonio. Se i simboli valgano ancora qualcosa il nostro destino passa dai piedi di Cassano, un miracolato.
6) La profezia Maya incombe ma per le sventure ci stiamo attrezzando. Recita Wikipedia a proposito dei famigerati Maya: “Si dovrebbe verificare un evento, di natura imprecisata e di proporzioni planetarie, capace di produrre una significativa discontinuità storica con il passato“. Tradotto: vincere, finalmente, un Europeo dopo quasi mezzo secolo di vacche magre. Il 21 dicembre 2012 sapremo se sarà arrivata prima la fine del Mondo o quella del calcio italico. Più o meno la stessa cosa.
P.S Lo stesso giochino era stato proposto in prossimità della partenza del mondiale sudafricano, conclusosi poi tragicamente. Chiediamo scusa in anticipo.
domenica 3 giugno 2012
un'altra passione.:mangiare................................
Timballo di pasta, zucchine e fiori di zucca
300g di sedani rigati 650g di zucchine romanesche ½ cipolla bianca tritata 12 fiori di zucca Basilico q.b. 80g di grana grattugiato 150g di provola affumicata 200ml di besciamella Burro q.b. Olio, sale e pepe q.b.
Appassire la cipolla tritata in padella con 3 cucchiai d’olio, unire le zucchine affettare a rondelle sottili e cuocerle per 10’. Aggiungere metà dei fiori di zucca, privati del pistillo e strappati con le mani, il basilico spezzettato ed una macinata di pepe; chiudere con coperchio lasciando cuocere le erbe col vapore della cottura delle zucchine per un altro paio di minuti. Scolare la pasta al dente e condirla con tale sugo, più burro e metà del grana grattugiato. Versare metà della pasta in una pirofila unta di burro; aggiungere uno strato di provola affettata sottilmente, coprire con un secondo strato di pasta, coprire il tutto con la besciamella ed il restante grana grattugiato. Decorare con i rimanenti fiori di zucca aperti a libretto e gratinare in forno per 20’-30’ a 200°.sabato 2 giugno 2012
fragole,ciliege ......................................
RISOTTO ALLE FRAGOLE
Ingredienti Risotto alle Fragole per 4 persone:
- 15 fragole
- 1 bicchiere di vino bianco
- 1 scalogno
- olio
- 300 gr di riso
- sale
- pepe rosa qb
- 2 cucchiai di dado granulare vegetale
- acqua calda qb
- burro qb
- parmigiano qb
- erba cipollina qb
- Tagliare le fragole e metterle a macerare nel vino.
- Affettare lo scalogno e soffriggerlo in padella con olio.
- Aggiungere il riso e tostarlo.
- Sfumare il riso con il vino delle fragole.
- Salare, aggiungere il pepe rosa tritato grossolanamente.
- Iniziare a cuocere aggiungendo poco per volta brodo preparato con acqua calda e dado.
- A metà cottura unire le fragole.
- A cottura ultimata mantecare con parmigiano e burro.
- -
venerdì 1 giugno 2012
Passione maglia a ferri 1
Quanti stili per la maglia. Introduzione
.Esistono un numero eccezioonale di diversi stili per la lavorazione a maglia, e con stili intendiamo modi diversi di impugnare ferri e filo e di formare la maglia. Il risultato è più o meno sempre lo stesso, un “tessuto” a maglia che può essere adattato a ogni tipo di lavorazione, in piano come in tondo, a pizzo, a fair-isle o Aran, ogni singolo tipo di lavorazione può essere eseguito in numerosi stili diversi. Eppure, chi lavora a maglia conosce di norma un solo stile e ben di rado è stata esposta a stili diversi, al punto che chi lavora con uno stile “esotico” rispetto a quello prevalente nell’area in cui si trova capita venga apostrofata con un secco “Ma lavori sbagliato!”.
Secondo noi non esiste un modo giusto e uno sbagliato di lavorare a maglia, esistono solo modi diversi e che possono essere più adatti a una persona anziché a un’altra. Anzi, ci piace incoraggiare a imparare metodi diversi di lavorazione: poter usare più stili spesso si traduce in un vantaggio perché per esempio, permette di cambiare stile e quindi posizione quando ci si affatica o permette di ibridare le tecniche per realizare lavori con effetti particolari.
Gli stili della maglia si dividono essenzialmente a seconda di due variabili: in quale posizione viene tenuto il filo e in quale verso viene gettato il filo attorno al ferro. Nel primo caso, il filo può essere tenuto nella mano destra (tecnica English e affini), nella mano sinistra (tecnica Continental e affini) oppure attorno al collo o tenuto in posizione con una spilla speciale e manovrato con il pollice sinistro (tecnica portoghese). Nel secondo caso il filo può essere gettato in verso orario (tecniche occidentali), in verso antiorario (tecniche orientali) o alternando il verso orario per il dritto e il verso antiorario per il rovescio (tecniche combinate).
Mano a mano illustreremo le peculiarità di vari stili parleremo di alcune tradizioni correlate, cercheremo anche di darvi indicazioni su come imparare a lavorare i vari stili della maglia: magari non sostituiranno il vostro stile principale, ma sarà sicuramente interessante apprendere come funziona
giovedì 31 maggio 2012
mercoledì 30 maggio 2012
martedì 29 maggio 2012
Maggio 2012 due grandi scosse di terremoto in Emilia.................. .
Il terremoto e la croce
Redazione
La terra drago sussulta ancora. È accaduto ancora in Emilia, ieri mattina. La terra ha tremato sotto le macerie, facendone altre. Nuove scosse hanno tirato giù case, fabbriche, chiese. Nessuno sciame sismico, ci dicono, questa è un’altra cosa, un altro terremoto, come se quello dell’altra volta non fosse bastato. Nuovi morti, altri sfollati, 8mila, si aggiungono a quelli che già sono fuori dalle loro case o le hanno perse del tutto. Il terremoto ha colpito ancora lì. Modena, Mirandola, San Felice sul Panaro, Concordia, Novi, Finale Emilia. Ma lo hanno sentito tutti, nel nord. Qualcuno ha detto che quello che è successo “ha rimesso in discussione tutte le strategie”.
Di fronte allo sgomento per questi fatti e alla morte casuale e ingiusta che portano con sé, viene la tentazione di pensare alla terra come a una specie di madre-matrigna. Una madre cattiva. Mentre invece la terra è nostra sorella. È una povera creatura come noi, ha delle imperfezioni, delle fratture, dei sussulti. Ha dentro qualcosa che la rende imperfetta, come siamo imperfetti noi.
È solo una ideologia sbagliata, di tipo naturalistico e panteistico, che vede nella terra una specie di soggetto buono, come se fosse un essere perfetto e assoluto, scambiando la terra con una sorta di divinità. No, la terra non è nostra madre, ma nostra sorella. Ci sostiene, ma è una sorella difettosa, di cui ogni tanto paghiamo l’essere limitato. Esattamente come il nostro. Entrambi, noi e la terra, siamo fragili perché siamo creature.
Quando accadono queste cose siamo improvvisamente sbattuti di fronte a quello che non possiamo mutare. Il terremoto mette la nostra faccia davanti alla casualità. Alcuni perdono la vita per la caduta casuale di una pietra. Mentre questo accade, altri, senza un apparente perché, si salvano. Durante un terremoto ti salvi o muori, per caso. Casualmente incontriamo la persona che amiamo, casualmente ci troviamo a vivere in una città piuttosto che in un’altra.
Usiamo la parola caso per addomesticare un’altra parola più grande, che è mistero. Il terremoto ce la ripropone, in maniera drammatica e orribile, come l’amore ce la propone in maniera dolce. In fondo ad ogni esperienza umana, compreso il piacere, si tocca l’esperienza della casualità. Per questo il terremoto, se ha qualcosa di buono, ha solo il fatto di invitarci ad essere più coscienti della vita intera.
Quello che tutti possono fare, mentre alcuni sono chiamati al difficile compito di rimettere in piedi i muri abbattuti, è ricostruire una coscienza più vasta e viva e acuta di cos’è vivere. Solo per questo i terremoti non passano inutilmente. La cosa ancor più tremenda sarebbe che un terremoto, oltre che terribile, fosse vano.
Il fatto è che anche la terra, come noi, ha bisogno di essere liberata dal male. Proprio le chiese e i campanili sbrecciati al cuore di questi paesi ce lo mostrano. C'è una speranza che non viene meno neanche di fronte al più grande dei terremoti. Non la speranza di una vita senza problemi: piuttosto quella che viene da una croce, annuncio di resurrezione, significato misterioso di un dolore altrimenti destinato a rimanere senza senso. Sta in quella croce, per tutti, la vera forza di ricominciare.
© Riproduzione riservata.
domenica 27 maggio 2012
Domenica di Pentecoste.....................................................
La causa e il fuoco
Carlo Cardia
sabato 26 maggio 2012
Esperienze................
Imparare da Paolo
Mario Follega
La settimana scorsa nella parrocchia di cui sono responsabile c’è stato il ritiro delle prime comunioni. C’erano sessantadue bambini, con i rispettivi genitori, quasi tutti. Dopo aver pregato insieme (ed è già un evento che genitori e figli preghino assieme) abbiamo fatto una caccia al tesoro, a cui hanno partecipato anche i papà e le mamme, piuttosto movimentata (uno si è rotto anche un braccio). Poi siamo andati in chiesa, per la messa di mezzogiorno. Io mi ero preparato una bella omelia… ma, dopo qualche parola, un bambino alza la mano. “Dimmi”, lo esorto. Lui mi pone una domanda sulla malattia. C’era, infatti, un bambino tra noi il cui papà non era presente perché stava molto male. Mi hanno incalzato, uno dopo l’altro, per venti minuti: che cos’è il dolore, che cos’è il paradiso, che cosa si fa in paradiso, ci sono gli insegnanti in paradiso… Domande come solo i bambini sanno fare. Pranziamo insieme, poi ci dividiamo: io resto con i genitori e tengo loro un incontro sul tema “essere padre e madre”, approfittando di una delle rare occasioni in cui posso parlare a tanti papà. Dopo la grande partita finale a pallone, siamo tornati a casa. Distrutti ma contenti, sia noi sacerdoti sia i genitori.
Il giorno dopo era lunedì. E tutti i lunedì noi sacerdoti (siamo in tre ad abitare insieme) abbiamo una giornata di lavoro e di riposo in comune, che costituisce per noi un momento centrale nella settimana. Invece quel giorno, al mattino presto, è accaduto un fatto assolutamente imprevisto: era morto, durante la notte, il papà di quel bambino da cui era nata la domanda durante la messa. Noi tre ci siamo guardati e, dopo un momento di incertezza sul da farsi, ci siamo detti: “Andiamo! Andiamo a casa di quelle persone (il padre era morto in casa), e stiamo con loro”. Naturalmente abbiamo trovato un grande dolore. Abbiamo pregato un po’ insieme, poi mi sono accorto che i figli non c’erano: né quello che aveva partecipato al ritiro, Paolo, di quarta elementare, né quello più piccolo, di seconda. Ho invitato tutti ad uscire dalla stanza e sono rimasto un po’ insieme alla mamma di Paolo. Le ho chiesto dove fossero i bambini. “I bambini li abbiamo mandati da mia sorella, non sanno niente, sono indecisa se dire loro la verità o no”. Le rispondo: “Hanno visto il papà che stava male. Secondo me, per il modo in cui avete vissuto fino a questo momento la malattia, sarebbe opportuno dirglielo”. E lei: “Bene, allora glielo diciamo insieme”. Dopo aver pregato il rosario insieme a lei, torno a casa. Ne parlo con gli altri due preti. Mi tranquillizzano, sarebbero venuti anche loro, anzi avrebbero chiamato anche le catechiste di Paolo.
Siamo andati dai due bambini nel pomeriggio. E ci siamo trovati davanti una scena incredibile. Paolo stava spiegando al fratellino che cos’è il paradiso. Stava ripetendo al fratello ciò che io avevo detto il giorno prima, al ritiro: il papà stava in paradiso, stava con Gesù, stava bene, era in cielo e nel loro cuore. Tutta la mia preoccupazione su come affrontare con quei bambini l’argomento della morte del papà era venuta meno grazie ai diversi modi con cui il Signore si serve di noi, anche nei momenti più impensati. Il giorno prima, rispondendo a quelle domande, durante la messa, mai avrei immaginato che le risposte sarebbero state usate da Paolo, perché il papà sarebbe morto il giorno dopo. Questo ci fa capire che siamo servi del Signore, che la presenza di Cristo passa attraverso di noi, e che ciò che accade è il modo con cui il Signore ci costringe a stare dentro le circostanze e a imparare continuamente da esse.
© Riproduzione riservata.
Iscriviti a:
Post (Atom)